
Settanta
Come sappiamo la storia la scrivono i vincitori. E, con buona pace di Bifo, non siamo stati noi.
Così gli anni settanta sono diventati, nella vulgata del potere, gli “anni di piombo”.
Il ricordo ossessivamente reiterato a ogni carsico riaccendersi della rivolta è sempre lo stesso, “tornano gli anni settanta, torna la violenza, la P38, il sangue, i morti”. Come se di violenza, sangue e morti non ce ne fossero stati prima, da quel vecchio primo maggio americano (rivolta di Haymarket, 1886) a Saverio Saltarelli (Statale di Milano, 12 dicembre 1970) e dopo, da Carlo Giuliani a Federico Aldrovandi. Si è così cancellato il ricordo degli “altri” anni settanta, gli anni della creatività, dell’ironia, della gioia di stare insieme, della scoperta (magari ingenua, magari un po’ abborracciata ma sincera) di nuovi rapporti interpersonali, di diverse traiettorie di pensiero, del tentativo di destrutturare la personalità autoritaria per aprirsi a nuove complessità. E la critica, quella sì radicale, del femminismo, che mise in crisi parecchie nostre sicurezze e ci costrinse a confronti scomodi ma vitali. Sembrava che i percorsi di ricerca, politica, personale, culturale, esistenziale fossero mille e uno, c’era una ricchezza di pensiero che a pensarci adesso sembra l’Eden. E una leggerezza, altro che piombo, una leggerezza che addolciva la difficoltà di incamminarsi su non calpestati sentieri, come voleva Whitman, una leggerezza che ci avvolgeva e ci faceva stare bene quando eravamo insieme.
Certo, c’erano gli stronzi anche allora, i Generali con i loro Colonnelli che giocavano alla guerra, oppure quelli che le sparavano sempre grosse ma se il corteo era a Genova loro erano a Spezia e viceversa, o quelli che avevano letto un libro in più e allora la menavano a tutti dall’alto di quelle pagine esoteriche, o quelli che avevano deciso che non c’era tanto da sbattersi, il futuro stava in fondo a una vena. Ma dal mio punto di vista rimanevano sullo sfondo, non erano loro a dare la direzione di marcia, a esprimere la tendenza principale.
Se c’è stato allora uno spirito del tempo credo fosse quello di cui ho scritto sopra, la voglia di riprendersi la terra, la luna e l’abbondanza della canzone di Lolli, di sventolare senza timori la bandiera dell’immaginazione, di vivere la propria crescita personale e politica, il mutare dei propri rapporti d’amore e d’amicizia dentro il movimento, vissuto come un flusso desiderante, un treno bound for glory come aveva predetto Guthrie.
E la strada, perché
C'è solo la strada su cui puoi contare
la strada è l'unica salvezza
c'è solo la voglia e il bisogno di uscire
di esporsi nella strada e nella piazza
perché il giudizio universale
non passa per le case
le case dove noi ci nascondiamo
bisogna ritornare nella strada
nella strada per conoscere chi siamo.
Adesso le strade sono di nuovo piene di corpi e di sogni e senza voler fare paragoni inutili o analogie inservibili credo sia bello che accada.
One generation got old
One generation got soul
This generation got no destination to hold
Pick up the cry
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