Non sarebbe potuto andare meglio: il 30 Aprile del 1975 la guerra del Vietnam ebbe finalmente termine. La sconfitta degli Stati Uniti non rappresentò soltanto la vittoria della resistenza del valoroso popolo vietnamita, ma anche quella di tutti i pacifisti che da anni manifestavano contro quella sporca guerra. Nel corso del tempo le immagini provenienti dal fronte avevano contribuito a far crescere l'indignazione e le conseguenti proteste in Occidente e Nam fu il primo (ed ultimo) esempio di guerra-spettacolo senza il controllo diretto del governo sulla propaganda, una specie di autogoal della democrazia.
Gli USA ci misero anni a digerire la sconfitta e non ripresero gli interventi armati su vasta scala sino alla Guerra del Golfo, nel 1991, ma soltanto dopo aver convinto l'ONU ed alcuni alleati, tra cui l'Italia, ad intervenire. Le armi si erano evolute, ma soprattutto la capacità di manipolare l'informazione. Al fine di giustificare l'intervento militare s'iniziò a parlare di guerra giusta, missione di pace, esportazione della democrazia e il rais iracheno, Saddam Hussein, per aver invaso il Kuwait, venne paragonato addirittura ad Hitler.
Nel 1999 toccò alla Serbia che gli Stati Uniti bombardarono insieme ad altri membri della Nato decollando da basi aeree italiane. Il dittatore di turno era Milosevic, colpevole di non voler rinunciare alla provincia del Kosovo dopo lo smembramento della ex-Jugoslavia.
In seguito agli attentati di New York subiti l'11 Settembre 2001, gli USA dichiararono guerra globale al terrorismo, invadendo e occupando militarmente l'Afghanistan, in cui si sarebbe rifugiato l'imprendibile Bin Laden, capo mondiale del terrorismo e diabolica mente organizzatrice degli attentati alle Torri Gemelle. Nel 2003 la guerra al terrorismo proseguì con l'invasione dell'Iraq, ove il solito Saddam Hussein, scampato quasi per miracolo alla prima Guerra del Golfo, sembrava celasse armi di distruzione di massa.
Ogni invasione ebbe una giustificazione nuova, dunque, mirata a creare consenso e convincere l'opinione pubblica mondiale della necessità dell'intervento. I pacifisti, di guerra in guerra, apparivano sempre più sparuti, numericamente lontanissimi dalle oceaniche manifestazioni contro il conflitto vietnamita degli anni Settanta, anche perché i maggiori partiti della sinistra europea, tradizionalmente non interventisti, tendevano di volta in volta a fare distinzioni, se non proprio a giustificare le necessità delle invasioni stesse.
Veniamo all'oggi. Proprio in questi giorni nel mirino dell'ennesima coalizione legittimata dall'ONU c'é Gheddafi, il pittoresco beduino che da 40 anni tiene soggiogato il popolo libico a poche centinaia di chilometri dalle nostre coste.
L'occasione l'hanno data alcune province che, in linea con altri sommovimenti nordafricani, si sono ribellate proclamando un governo provvisorio alternativo al regime di Gheddafi il quale, di conseguenza, ha mosso loro contro nel tentativo di riassumere il controllo dell'intero paese. L'intervento aereo degli alleati, ribattezzati per l'occasione i volenterosi (willing), ha avuto come protagonista a sorpresa la Francia, che è stata la prima a bombardare anticipando gli americani e disorientando gli altri paesi dell'alleanza. Nonostante l'adesione alla coalizione, l'altro fatto nuovo è stato il palpabile imbarazzo dell'Italia nei confronti di questa guerra, soprattutto a livello governativo. Il nostro paese da diversi anni è il principale partner in affari della Libia, ricca di preziose risorse naturali come gas e petrolio, e il governo italiano ultimamente ha rafforzato patti e accordi con Gheddafi (anche a carattere propagandistico, come la necessità di porre un freno agli sbarchi dei clandestini sulle nostre coste). A capo dell'imbarazzo vi è il premier Berlusconi che, nel suo solito ben noto stile festaiolo ed elegante, ha più volte ostentato pubblicamente uno stretto rapporto di amicizia personale col dittatore di Tripoli.
Il punto della situazione politica italiana è dunque il seguente: destre e governo tendono a rallentare l'azione militare dei volenterosi, forse sperando ancora che il proprio partner resti Gheddafi, mentre il centrosinistra e addirittura il Papa difendono l'intervento.
Un mondo apparentemente alla rovescia, insomma. Dalla parte dei pacifisti restano sinceramente i partiti minori e i movimenti di sinistra, come in cuor suo la maggior parte del popolo italiano che, pur frastornato da tutta questa confusione, rimane e rimarrà contrario alla guerra come forma prioritaria di risoluzione delle controversie.
Give peace a chance, oggi come allora e per sempre.