Anni Settanta: la musica e la politica, il singolare e il collettivo, il sesso, la coppia, aperta / apertissima / quasi sfatta, l'on the road praticato o immaginato, i concerti, il fumo, i jeans a tubo e quelli a campana, la psichedelia, l'antipsichiatria, la California, i miti e i riti, il lirico e l'epico, l'ironia, il quotidiano, i giochi, le credenze e le speranze, il prima e il dopo, il quartiere e l'oratorio, la piazza e i bar.. Cos'è che si ferma nel tempo?

mercoledì 23 marzo 2011

  Non sarebbe potuto andare meglio: il 30 Aprile del 1975 la guerra del Vietnam ebbe finalmente termine. La sconfitta degli Stati Uniti non rappresentò soltanto la vittoria della resistenza del valoroso popolo vietnamita, ma anche quella di tutti i pacifisti che da anni manifestavano contro quella sporca guerra. Nel corso del tempo le immagini provenienti dal fronte avevano contribuito a far crescere l'indignazione e le conseguenti proteste in Occidente e Nam fu il primo (ed ultimo) esempio di guerra-spettacolo senza il controllo diretto del governo sulla propaganda, una specie di autogoal della democrazia.

  Gli USA ci misero anni a digerire la sconfitta e non ripresero gli interventi armati su vasta scala sino alla Guerra del Golfo, nel 1991, ma soltanto dopo aver convinto l'ONU ed alcuni alleati, tra cui l'Italia, ad intervenire. Le armi si erano evolute, ma soprattutto la capacità di manipolare l'informazione. Al fine di giustificare l'intervento militare s'iniziò a parlare di guerra giusta, missione di pace, esportazione della democrazia e il rais iracheno, Saddam Hussein, per aver  invaso il Kuwait,  venne paragonato addirittura ad Hitler.

  Nel 1999 toccò alla Serbia che gli Stati Uniti bombardarono insieme ad altri membri della Nato decollando da basi aeree italiane. Il  dittatore di turno era Milosevic, colpevole di non voler rinunciare alla provincia del Kosovo dopo lo smembramento della ex-Jugoslavia.

  In seguito agli attentati di New York subiti l'11 Settembre 2001, gli USA dichiararono guerra  globale al terrorismo, invadendo e occupando militarmente l'Afghanistan, in cui si sarebbe rifugiato l'imprendibile Bin Laden, capo mondiale del terrorismo e diabolica mente  organizzatrice degli attentati alle Torri Gemelle. Nel 2003 la guerra al terrorismo proseguì con l'invasione dell'Iraq, ove il solito Saddam Hussein,  scampato quasi per miracolo alla prima  Guerra del Golfo, sembrava celasse armi di distruzione di massa.

  Ogni invasione ebbe una giustificazione nuova, dunque, mirata a creare consenso e convincere  l'opinione pubblica mondiale della necessità dell'intervento. I pacifisti,  di guerra in guerra,  apparivano sempre più sparuti, numericamente lontanissimi dalle  oceaniche manifestazioni contro il conflitto vietnamita degli anni Settanta, anche perché i maggiori partiti della sinistra europea, tradizionalmente non interventisti, tendevano di volta in volta a fare distinzioni, se non proprio a giustificare le necessità delle invasioni stesse.

  Veniamo all'oggi. Proprio in questi giorni nel mirino dell'ennesima coalizione legittimata dall'ONU c'é Gheddafi, il pittoresco beduino che da 40 anni tiene soggiogato il popolo libico a poche centinaia di chilometri dalle nostre coste.
L'occasione l'hanno data alcune province che, in linea con altri sommovimenti nordafricani,  si sono ribellate proclamando un governo provvisorio alternativo al regime di Gheddafi il quale, di conseguenza, ha mosso loro contro nel tentativo di riassumere il controllo dell'intero paese. L'intervento aereo degli alleati, ribattezzati  per l'occasione i  volenterosi (willing), ha avuto come protagonista a sorpresa  la Francia,  che è stata la prima a bombardare anticipando gli americani e disorientando gli altri paesi dell'alleanza.  Nonostante l'adesione alla coalizione, l'altro fatto nuovo è stato il palpabile imbarazzo dell'Italia nei confronti di questa guerra, soprattutto a livello governativo. Il nostro paese da diversi anni è il principale partner in affari della  Libia,  ricca di preziose risorse naturali come gas e petrolio, e il governo italiano  ultimamente ha rafforzato patti e accordi con Gheddafi (anche a carattere propagandistico, come la necessità di porre un freno agli sbarchi dei clandestini sulle nostre coste). A capo  dell'imbarazzo vi è il premier Berlusconi che, nel suo solito ben noto stile festaiolo ed elegante, ha più volte  ostentato pubblicamente uno stretto rapporto di amicizia personale col dittatore di Tripoli.
  Il punto della situazione politica italiana è dunque il seguente: destre e governo tendono a rallentare l'azione militare dei volenterosi, forse sperando ancora che il proprio partner resti Gheddafi, mentre il centrosinistra e addirittura il Papa difendono l'intervento.
  Un mondo apparentemente alla rovescia, insomma. Dalla parte dei pacifisti restano sinceramente i partiti minori e i movimenti  di sinistra,  come  in  cuor  suo la maggior  parte  del popolo italiano che, pur frastornato da tutta questa confusione, rimane e rimarrà contrario  alla  guerra  come  forma  prioritaria di  risoluzione delle controversie. 

  Give peace a chance, oggi come allora e per sempre.  

6 commenti:

  1. Give peace a chance, senza dubbio. Martedi sono stato al presidio in piazza Mentana contro la guerra indetto dalla FdS ed eravamo veramente quattro gatti, pochissimi e a parte lo stato maggiore di RC i cani sciolti si contavano sulle dita di una mano. manifestazione organizzata in fretta e male, poco propagandata, organizzatori ormai alla frutta, d'accordo, ma così poche persone in piazza contro la guerra non le avevo mai viste. E anche in altre occasioni politiche degli ultimi tempi, come ad esempio la presentazione del libro sulla storia di DP, ho notato la tendenziale estinzione dei cani sciolti, che una volta erano la maggioranza, riempivano le file dei cortei e le sale delle assemblee, mentre ora mi ritrovo sempre con i soliti, e sempre di meno, in mezzo agli ultimi sacerdoti che officiano meccanicamente le loro funzioni. Che fine abbiamo fatto? Ci ritroviamo solo davanti agli schermi ei nostri pc?
    Comunque Give peace a chance, fino all'ultimo.

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  2. Evidentemente l'idea di sfilare dietro a una bandiera per manifestare le proprie convinzioni appartiene al passato, forse i cani sciolti pensano che scrivere le opinioni in rete sia più libero e partecipativo. Non me la sentirei comunque di dire come dovrebbe comportarsi un buon pacifista, un buon antinucleare o chiunque altro. Il catechismo preferirei lasciarlo ai sacerdoti. Peace and freedom.

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  3. dio mi guardi dal dire a chiunque come dovrebbe comportarsi, anch'io il catechismo lo lascio volentieri ai sacerdoti d'ogni colore. Ma la scomparsa dei cani sciolti, di quelli che c'erano perchè gli importava, non perchè glielo aveva detto il partito, mi addolora e mi fa sentire più solo, perplesso e confuso di fronte agli orrori del presente. Where have all the flowers gone?

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  4. Capisco il tuo dolore, anche se immagino sia molto più doloroso beccarsi delle bombe sulla testa. Prendo atto che i cani sciolti sono scomparsi dalle manifestazioni organizzate dai partiti antagonisti (come gran parte dei vecchi militanti, peraltro), ma non li darei proprio per estinti. In rete, infatti, qualche bastardino non registrato al canile che latra contro la guerra, le centrali nucleari o quant'altro si vede. Per non parlare delle piazze che sempre più spesso si riempiono di persone non necessariamente simpatizzanti di un qualche partito, riunite però a manifestare spontaneamente in difesa dei propri diritti o contro quelli che considerano dei soprusi.
    Se posso vorrei anch'io porti una domanda: perché continui ad andare a 'sti raduni un po' tristi "in mezzo agli ultimi sacerdoti che officiano meccanicamente le loro funzioni" e a cui non partecipano neppure più i tuoi amici cani sciolti? Oggi esistono modi assai meno formali di far politica e proprio per non sentirti l'ultimo dei Mohicani potresti accontentarti di partecipare a quelli.

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  5. A volte penso che tu abbia ragione e che questa è proprio l'ultima volta, poi invece risuccede e mi sento come Bukowski davanti a un bar, vabbe' ancora stavolta entro, però bevo solo un bicchiere...In sostanza mi è chiara la perdita di senso di alcuni miti, riti e detriti dell'agire politico del secolo scorso, non mi è altrettanto chiaro quanto i "modi meno formali di far politica" siano realmente efficaci. E poi mi chiedo: "Mi si nota di più se vengo o se non vengo? etc. etc."

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  6. Tutti i modi dell'agire politico attualmente sono meno efficaci di quelli praticati nel secolo scorso. A mio avviso oggi si tratta di scegliere tra l'adeguarsi a nuove forme d'aggregazione in cui il ruolo dei partiti è marginale o ritrovarsi in quattro gatti a rimpiangere con nostalgia i bei tempi passati. Sarà la disillusione o la vecchiaia che avanza, ma mi sento in ogni caso fuori posto poiché entrambe le situazioni m'imbarazzano. Non ho alcun dubbio, però, su cosa sarebbe più opportuno decidere in questo momento.

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