
Bologna oh Cara…. ( parte I )
la prima volta che ho messo piede a Bologna era di domenica, una domenica di fine giugno, nel 1972. Eravamo un gruppo di liceali e avevamo da poco appena terminato il terzo anno, e quindi eravamo partiti con tende e sacchi a pelo, pentolini e fornelli.
Bologna non era di certo la meta prescelta per il campeggio.
Eravamo partiti all'alba con un pullman destinazione l'Appennino reggiano e in particolare la località di Cervarezza, quello ci era sembrato il posto adatto per accamparci. Scoprimmo un posto isolato, un prato circondato da castagni, abbandonato da pochi giorni da un qualche reparto dell'esercito italiano.
Le tracce delle canalette di scolo scavate intorno alle tende per far defluire l'acqua piovana erano ancora lì, il terreno rivoltato di fresco.
Le utilizzammo per le nostre tende. Passammo un paio di giorni a esplorare i dintorni, a festeggiare la sera con cene precotte e liofilizzate, riscaldate però su un vero fuoco, ben delimitato da grossi sassi, anche quello probabilmente lasciatoci in eredità dai militari.
Al terzo giorno ci sembrava di essere lì da alcune settimane.
Prendemmo una decisione : perché non spostarci ? perché non provare qualche nuovo posto?
Così lasciammo parte del nostro bagaglio nel deposito della piccola parrocchia e più leggeri ci sentimmo pronti per una vera avventura, un vero viaggio.
Ovviamente non potevamo banalmente partire di mattina o nelle ore del pomeriggio. Ci sembrò naturale che fosse di sera, anzi di notte, il momento propizio per iniziare il nostro viaggio, la nostra avventura, la nostra ricerca.
Cenammo in trattoria, tagliatelle al ragù e lambrusco e, nel bel mezzo dei brindisi, mentre proferivamo nostri propositi per i giorni a venire, mi venne un'idea.
Avevo letto la notizia proprio quel giorno, su Ciao 2001 e allora proposi di arrivare in qualche modo a Bologna, perché in una data non troppo lontana allo stadio Dallara avrebbero suonato Emerson Lake e Palmer.
La proposta venne subito accettata con entusiasmo da tutti.
Un ultimo brindisi e per lo stupore dei padroni della trattoria, intorno alle undici di sera, una fila indiana composta da sedicenni con zaini sulle spalle, si allontanò dal centro abitato, svanendo dietro l'ultima curva, in cielo la luna era quasi piena.
Così iniziò il nostro vagabondaggio tra paesini e trattorie, tra partite a boccette e incontri con giovani e vecchi, un'insperata avventura, un vagabondaggio da manuale, che terminò una volta raggiunta Reggio Emilia.
Da lì col treno arrivammo a Bologna, proprio il giorno del concerto.
Era la prima volta che vedevo Bologna.
Era una domenica d'estate, poca gente in giro. Girovagammo tra palazzi e portici barocchi, arrivammo fino all'osteria delle Dame ma Guccini e Lolli sicuramente stavano russando altrove.
Poi una breve sosta alla Montagnola dove venne scattata la foto che mi ritrae a cavallo del leone con un coltellino opinel, tipica arma del campeggiatore, mentre cerco di abbattere la feroce fiera.
Lì vicino un furgoncino sfornava pizzette e hot dog, mangiammo qualcosa prima di prendere l'autobus per raggiungere lo stadio. Il gestore del fast food su quattro ruote continuava a infilare, nel suo mangiadischi collegato ad un amplificatore gracchiante, il disco dei Nomadi Io vagabondo.
Credo volesse dedicarcelo, forse non aveva mai avuto tanti clienti in una domenica d'estate.
Il concerto me lo ricordo strepitoso, per un sedicente e sedicenne organista, quale ero, vedere Keith Emerson saltellare tra organi moog e pianoforti emettendo accordi e suoni che sembravano voler far esplodere il cielo, era stata un'esperienza sublime.
Anche il pubblico mi sembrò incredibile, c'era tutta l'area alternativa ed hippy del Movimento, si vendevano i giornali italiani underground da Re Nudo a Fallo ad un altro che aveva la forma di un Joint, li comprammo tutti.
Il rientro alla stazione fu una lunga camminata lungo i viali, con soste ai chioschi e lunghi commenti sul concerto.
Prima volta a Bologna, niente male.
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