
La rivoluzione é finita, abbiamo vinto.
Una battuta ironica.
In realtà l'utopia di una comunità che si sveglia e si riorganizza fuori del modello predominante di scambio economico del lavoro e del salario. L'estinzione del lavoro diventa la tendenza oggettiva.
Non si può più applicare il modello della rivoluzione politica: in questo senso la rivoluzione é finita.
Che cosa significa: abbiamo vinto?
Una sorta di scongiuro, o piuttosto l'indicazione di un atteggiamento mentale, creare le condizioni per affrontare in termini di sperimentazione consapevole e collettiva il processo di estinzione del lavoro.
Questa intuizione non riuscì in nessun modo a tradursi politicamente nel Convegno di Bologna del settembre '77.
La proposta nuova aveva scelto il silenzio perché in quel momento non aveva nulla da dire.
Quello che noi avevamo da dire l'avevamo detto.
Quello che avevamo da dire era: ragazzi, ci aspettano degli anni disastrosi, però in questi anni si dispiegherà un processo futuro che noi possiamo tentare di interpretare, in cui i processi d'autonomia potranno manifestarsi nei nuovi strati.
All'inizio nessuno pensava che quell'occasione ci avrebbe così preso la mano.
É stato invece un momento in cui tutti hanno sentito che bisognava andare lì, perché sarebbe stata un'occasione in cui ci si sarebbe potuti vedere, parlare, contare.
Ci si aspettava qualcosa di magico, si era creata un'aspettativa drammatica.
Tutti erano convenuti a Bologna con grandi attese che erano andate frustrate, perché una soluzione politica non c'era.
Alla fine un sottile senso di amarezza, di delusione, di frustrazione riaccompagna la gente nei propri territori e luoghi di vita e di lotta.
Tutti si ripromettono di continuare, di andare avanti, ma nessuno sa nascondere a se stesso la drammatica domanda:
avanti come? avanti dove?
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