Anni Settanta: la musica e la politica, il singolare e il collettivo, il sesso, la coppia, aperta / apertissima / quasi sfatta, l'on the road praticato o immaginato, i concerti, il fumo, i jeans a tubo e quelli a campana, la psichedelia, l'antipsichiatria, la California, i miti e i riti, il lirico e l'epico, l'ironia, il quotidiano, i giochi, le credenze e le speranze, il prima e il dopo, il quartiere e l'oratorio, la piazza e i bar.. Cos'è che si ferma nel tempo?

lunedì 28 febbraio 2011


If today was not an endless highway,
If tonight was not a crooked trail,
If tomorrow wasn’t such a long time,
Then lonesome would mean nothing to you at all.
Yes, and only if my own true love was waitin’,
...Yes, and if I could hear her heart a-softly poundin’,
Only if she was lyin’ by me,
Then I’d lie in my bed once again.

I can’t see my reflection in the waters,
I can’t speak the sounds that show no pain,
I can’t hear the echo of my footsteps,
Or can’t remember the sound of my own name.
Yes, and only if my own true love was waitin’,
Yes, and if I could hear her heart a-softly poundin’,
Only if she was lyin’ by me,
Then I’d lie in my bed once again.

There’s beauty in the silver, singin’ river,
There’s beauty in the sunrise in the sky,
But none of these and nothing else can touch the beauty
That I remember in my true love’s eyes.
Yes, and only if my own true love was waitin’,
Yes, and if I could hear her heart a-softly poundin’,
Only if she was lyin’ by me,
Then I’d lie in my bed once again.

Questa canzone Dylan la scrisse per Suze.

domenica 20 febbraio 2011


Sabato pomeriggio a Nomensland, sono più o meno le sette, passaggio con Sara per corso Cavour, sento improvvisamente gridare "Fascisti/carogne/tornate nelle fogne!", vado a vedere cosa succede. In una piazzetta ci sono sette o otto fasci, tutti giovanissimi, con un banchetto e la bandiera di Casa Pound, di fronte a loro una ventina di ragazzi, giovanissimi anche loro, gridano slogan antifascisti. La Digos, o come si chiama adesso, attenta vigila, in disparte. Nessun passante si avvicina, Sara ed io passiamo accanto al banchetto, Sara fa due pesanti commenti a voce alta, loro fanno finta di niente, lo shopping intorno continua sereno. Ripassiamo dieci minuti dopo, stanno reinpacchettando le loro cose, nessuno fa caso a loro, se ne vanno. Mi chiedo chi sia stato in comune ad aver dato il permesso di occupazione del suolo pubblico, ricordo poi che avevano autorizzato anche il convegno sullla X Mas in sala Dante, prima che facessimo sentire che Nomansland antifascista, dall'Anpi al May Day, considerava il convegno un'offesa alla memoria antifascista della città.
Mi sembra che anche su questo terreno, per certi versi così "arretrato", sia necessario tenere alta la guardia.

venerdì 18 febbraio 2011


Il compagno Daddo se n'è andato. Tutti quelli che hanno vissuto il Settantasette e hanno gridato "Paolo e Daddo liberi!" lo ricordano.

domenica 13 febbraio 2011


"Un fiume azzurro di jeans"
(Nanni Balestrini)

Negli anni settanta uno dei più feroci scontri culturali è stato sicuramente quelli tra i jeans a tubo e quelli a campana. A livello di look giovanile/alternativo si trattò di uno scontro senza quartiere.
All’inizio i jeans a campana, di chiara derivazione hippy, sembravano contrapporsi a una certa rigidità dei sessanta, simboleggiata da maglioncini stretti, camicie con le pinces e jeans a tubo. Tutto divenne per reazione più largo, maglioni oversize, ampie camicie da boscaiolo canadese e soprattutto jeans a campana. Chi non riusciva a procurarseli provvedeva ad allargare il fondo dei propri con un triangolo di stoffa, grazie all’aiuto di qualche madre, sorella o fidanzata ben disposte. Ma come aveva cantato Dylan i tempi stavano cambiando: quando i jeans a campana divennero gli unici in commercio, indossati da tutti, compagni, freak e gente comune che seguiva la moda fu chiaro in un momento alle menti più cool che era necessario cambiare stile.
Si tornò quindi, più o meno a metà del decennio, ai jeans a tubo, allora difficilissimi da trovare. Ci fu il solito sistema DIY, stringerseli in fondo da soli, se si era capaci, o ricorrere ancora alla benevolenza di madri, sorelle e compagne più versate di noi nell’arte dell’ago e filo.
Quando si scoprì che in un negozio di jeans di Nomansland, Il Calibrato, era arrivata una partita di jeans Wrangler stretti in fondo tutta l’ala più esteticamente consapevole, diciamo pure dandy, del movimento si precipitò nel negozietto, che si trovava in via Prione, quasi di fronte a uno dei due negozi di dischi della città. A parte chi scrive queste note ricordo che furono presenti certamente Angel, il suo amico Baldo, Ivan Puck, Henry Philiph e Paul Ghandi, tutti esponenti dell’ala freak, ma fautori di uno stile lontano da quello sbracato della massa. I jeans disponibili risultarono essere solo di velluto, beige e nero, e quasi tutti noi ne portammo via due paia a testa.
Per ulteriori rifornimenti bisognava spingersi fino al mercatino di Livorno, dove era più facile trovarli, o in qualche negozietto a Genova, oppure nelle grandi città.
Ricordo che trovai un paio di Levis a Roma e uno dei miei amici romani, provetto artigiano con le forbici, mi strinse quelli con cui ero arrivato, consentendomi così di avere un ricambio sempre appropriatamente cool.
Fu un gesto d’avanguardia, ma di lì a poco i jeans a tubo si ripresero il centro della scena, prima ancora dell'esplosione del punk, e quelli a campana rimasero, come era giusto, soltanto una piccola curiosità, una buffa moda durata pochi anni.

venerdì 11 febbraio 2011


Anni di pongo

Nella memoria degli anni settanta non trovano posto solo ricordi di eroiche manifestazioni, di lisergiche notti, di “sesso e volentieri”, di viaggi straordinari on the road e di concerti mitici, c’è spazio anche per aneddoti come questo, che potrebbe sembrare una cazzata ma che invece, a ben guardare, la sua logica per essere postato qui ce l’ha.
Nel movimento spezzino il compagno Picchio Del Sarto era noto per essere uno che cambiava partito più spesso che camicia (FGSI, PSIUP, P.O., M.S., situazionista, autonomo luddista, Autonomo con la maiuscola, PSI, RC, PDCI, e sicuramente ne dimentico almeno un paio) e per essere uno che le sparava sempre grosse. A sentir lui mentre qui a Nomansland penavamo per mettere insieme due o trecento persone per un corteo a Genova, dove lui era iscritto all'università, il movimento era fortissimo, organizzato e pronto allo scontro finale col Sistema. Ogni corteo genovese, nel suo racconto, era occasione di prova generale dell’assalto al Palazzo d’Inverno che certo non sarebbe tardato. Qui da noi, a parte i racconti epici e qualche giornale rivoluzionario fatto spuntare dalla tasca della giacca, non era proprio attivissimo, ma trovava comunque qualche ingenuo che lo attorniava quando iniziava i suoi racconti rabelaisiani. Uno di questi era un compagno sottoproletario di origine meridionale che era arrivato da poco in città e che stava a sentire Picchio come fosse l’oracolo.
Capitò in quei giorni che a Genova si organizzasse una manifestazione che si preannunciava piuttosto dura. In questi casi spesso Picchio per improcrastinabili motivi si tratteneva a Nomansland, maledicendo il destino che gli impediva di affrontare lo Stato faccia a faccia, ma quella volta non si era ricordato di procurarsi un alibi e l’entusiasmo dell’autonomo venuto dal Sud (di cui non riesco a ricordare il nome) fece sì che il nostro eroe decidesse di accompagnarlo, come Virgilio con Dante, attraverso l’Inferno, il ferro e il fuoco dello scontro di piazza.
Il giorno dopo sulla cronaca genovese del Secolo XIX si leggeva di duri scontri tra manifestanti e polizia, eravamo tutti curiosi di sapere come era andata dalla viva voce dei protagonisti.
Finalmente si manifestò nel nostro abituale luogo di ritrovo il compagno del Sud, ci affollammo intorno a lui chiedendogli notizie di prima mano.
Rispose con una frase lapidaria, cinque parole in cui rinchiuse un’intera vita: “Picchiu De Sartis tiene paura”…

martedì 1 febbraio 2011


Carissime/i,
condivido con voi due brevi riflessioni dopo la manifestazione della Fiom di venerdi scorso.
1-Dopo trenta e passa anni dal '77, dal post-fordismo, dall'operaio sociale, dalla moltitudine in esodo etc. etc. ci troviamo (ancora? Di nuovo?) in una situazione in cui l'unico argine alla malata volontà di potenza del potere e del capitale sembra essere la classe operaia, le tute blu, i metalmeccanici, come nei lontani giorni del Novecento passato.
Da qui a "Studenti-operai uniti nella lotta" il passo è breve, ma anche se chiamiamo proletariato cognitivo quello che una volta veniva definito proletarizzazione degli intellettuali siamo sempre alle categorie di quando mi sono affacciato alla politica, quarant'anni fa.
2-Visti da dentro il corteo di ieri la FdS e SEL, non perchè fossero pochi, ma per l'irrilevanza che sembravano avere, mi ricordavano da vicino l'epoca in cui i superstiti dei gruppi ex-extraparlamentari si riorganizzarono parte in Dp, parte nel Pdup, entrambe organizzazioni assolutamente dignitose ma altrettanto assolutamente irrilevanti sul piano dell'agire politico. L'unica differenza tra allora e oggi si può trovare nella forte visibilità del "personaggio" Vendola, che però non so proprio fin dove possa arrivare solo con la sua "singolarità".
g.