Anni Settanta: la musica e la politica, il singolare e il collettivo, il sesso, la coppia, aperta / apertissima / quasi sfatta, l'on the road praticato o immaginato, i concerti, il fumo, i jeans a tubo e quelli a campana, la psichedelia, l'antipsichiatria, la California, i miti e i riti, il lirico e l'epico, l'ironia, il quotidiano, i giochi, le credenze e le speranze, il prima e il dopo, il quartiere e l'oratorio, la piazza e i bar.. Cos'è che si ferma nel tempo?

sabato 25 dicembre 2010


Settanta

Come sappiamo la storia la scrivono i vincitori. E, con buona pace di Bifo, non siamo stati noi.
Così gli anni settanta sono diventati, nella vulgata del potere, gli “anni di piombo”.
Il ricordo ossessivamente reiterato a ogni carsico riaccendersi della rivolta è sempre lo stesso, “tornano gli anni settanta, torna la violenza, la P38, il sangue, i morti”. Come se di violenza, sangue e morti non ce ne fossero stati prima, da quel vecchio primo maggio americano (rivolta di Haymarket, 1886) a Saverio Saltarelli (Statale di Milano, 12 dicembre 1970) e dopo, da Carlo Giuliani a Federico Aldrovandi. Si è così cancellato il ricordo degli “altri” anni settanta, gli anni della creatività, dell’ironia, della gioia di stare insieme, della scoperta (magari ingenua, magari un po’ abborracciata ma sincera) di nuovi rapporti interpersonali, di diverse traiettorie di pensiero, del tentativo di destrutturare la personalità autoritaria per aprirsi a nuove complessità. E la critica, quella sì radicale, del femminismo, che mise in crisi parecchie nostre sicurezze e ci costrinse a confronti scomodi ma vitali. Sembrava che i percorsi di ricerca, politica, personale, culturale, esistenziale fossero mille e uno, c’era una ricchezza di pensiero che a pensarci adesso sembra l’Eden. E una leggerezza, altro che piombo, una leggerezza che addolciva la difficoltà di incamminarsi su non calpestati sentieri, come voleva Whitman, una leggerezza che ci avvolgeva e ci faceva stare bene quando eravamo insieme.
Certo, c’erano gli stronzi anche allora, i Generali con i loro Colonnelli che giocavano alla guerra, oppure quelli che le sparavano sempre grosse ma se il corteo era a Genova loro erano a Spezia e viceversa, o quelli che avevano letto un libro in più e allora la menavano a tutti dall’alto di quelle pagine esoteriche, o quelli che avevano deciso che non c’era tanto da sbattersi, il futuro stava in fondo a una vena. Ma dal mio punto di vista rimanevano sullo sfondo, non erano loro a dare la direzione di marcia, a esprimere la tendenza principale.
Se c’è stato allora uno spirito del tempo credo fosse quello di cui ho scritto sopra, la voglia di riprendersi la terra, la luna e l’abbondanza della canzone di Lolli, di sventolare senza timori la bandiera dell’immaginazione, di vivere la propria crescita personale e politica, il mutare dei propri rapporti d’amore e d’amicizia dentro il movimento, vissuto come un flusso desiderante, un treno bound for glory come aveva predetto Guthrie.
E la strada, perché
C'è solo la strada su cui puoi contare
la strada è l'unica salvezza
c'è solo la voglia e il bisogno di uscire
di esporsi nella strada e nella piazza
perché il giudizio universale
non passa per le case
le case dove noi ci nascondiamo
bisogna ritornare nella strada
nella strada per conoscere chi siamo.

Adesso le strade sono di nuovo piene di corpi e di sogni e senza voler fare paragoni inutili o analogie inservibili credo sia bello che accada.

One generation got old
One generation got soul
This generation got no destination to hold
Pick up the cry

mercoledì 22 dicembre 2010


  Dopo indagini accuratissime ecco finalmente la foto rivelatrice della presenza di infiltrati tra i Book Block nella manifestazione studentesca del 14 Dicembre a Roma. Ora si tratta solo di fermarli prima che sia troppo tardi!!!

domenica 12 dicembre 2010


12 dicembre 1969: la strage di stato
Ricorda con rabbia
A quel giorno seguirono altri giorni
in cui la forza vinceva spietatamente sulla ragione
a quella bomba altre bombe
a quei morti altri morti
Tutto cominciò quel giorno
in cui perdemmo l'innocenza in piazza Fontana
in cui il terrore si fece storia
il dodici dicembre millenovecentosessantanove
Più di quarant'anni son passati
dall'inizio di quella guerra invisibile
chiamata strategia della tensione
gli anni (un anniversario dopo l'altro) infatti passano
Ciò che ci rimane di allora
è la rabbia per la violenza subita
la coscienza di sapere la verità
ma non poterla dire
I nomi e i volti dei compagni uccisi
le loro foto viste sui giornali
una parte della nostra gioventù
una storia comune spezzata nel sangue
E ricordare
che avevamo vent'anni
volevamo un mondo più pulito e più giusto
e chiamavamo questa voglia comunismo
Forse sbagliavamo
forse era un'altra la parola
quello che contava alla fine per noi
era avere un nome per chiamarci...compagni
Ma comunque si chiami lo vogliamo ancora
lo dobbiamo a chi è rimasto faccia in terra a vent'anni
sognando i nostri stessi sogni
un futuro comune tra liberi e uguali

domenica 5 dicembre 2010


Uno degli striscioni migliori...


   Questa me l'ha mandata Marta da Udine

Ciao Giambo!
Qui a Pisa la rivoluzione sta andando alla grande. Al di là degli obbiettivi concreti conquistati (sono state occupate dieci facoltà su undici, il Sant'Anna, la Normale, l'areoporto, la torre, la FI-PI-LI, L'Aurelia, la stazione centrale tre volte, la stazione di San Rossore), c'è da dire che anche a livello nazionale si è creato un movimento davvero grosso, che finalmente supera le solite divisioni di partiti, collettivi, etc. Semplicemente un fiume di studenti uniti da un obbiettivo, e nint'altro. E devo dire che, quando stavamo sui tetti o nelle stazioni, la gente era davvero dalla nostra parte.
Ora non resta che vedere cosa succede il 14!
Finito questo breve report sulla rivoluzione ti saluto.
Ciao ciao
Francesco
(Francesco è Francesco Parente, fa il secondo anno di Matematica a Pisa, è il bassista dei Syds)

sabato 4 dicembre 2010




Aveva detto che nell'Italia di oggi non avrebbe lavorato.

"Ma adesso io penso, spero, sono sicuro che si possa ricominciare.
Me lo dicono tante cose, per esempio questi movimenti di giovani che hanno avuto l'idea di andare in cima alla Mole Antonelliana o sui tetti dell'università.
Sarà dura, ma credo che tutti insieme dobbiamo cercare di "redimerci" da questi 15 anni.
Siamo caduti così in basso che vorrei usare in modo non religioso la parola redenzione.
È chiaro che con un film non cambi la situazione.
Erano belli i tempi in cui pensavi che con una regia facevi la rivoluzione, belli ma lontanissimi. Con il cinema facevamo politica.
Il rapporto dei giovani con la politica è cambiato, non si appoggiano più ai partiti come facevamo noi, loro la politica se la reinventano".




Bernardo Bertolucci . Intervistato da Maria Pia Fusco
Repubblica 3 Dicembre 2010




giovedì 2 dicembre 2010


Questo è un racconto di piazza, non certo roba da fighetti.
Ricordo che dopo il rapimento Moro, nel Marzo 1978, vi fu una fase di attendismo, poi, dopo il ritrovamento del suo cadavere a Maggio, le cose iniziarono a precipitare rapidamente. Il Potere ci aveva dato l'ultimatum: 'O con lo Stato o con le Brigate Rosse'. 'Né con lo Stato né con le BR' aveva replicato il Movimento, come se quel semplice slogan avesse potuto essere sufficiente.
In realtà, se era vero che nessuno di noi avrebbe mai accettato di passare dalla parte del nemico perché le BR avevano esagerato, le divisioni all'interno del Movimento divennero sempre meno sfumate. I duri e puri, da tempo irreggimentati in strutture paramilitari un po' ridicole in attesa della Rivoluzione Imminente, s'irrigidirono ancor di più sulle proprie posizioni, mentre i cosiddetti cani sciolti come me furono in certo qual modo estromessi dalla battaglia. Molti in quel momento scelsero  di abbandonare il campo, mentre gli indiani più irriducibili furono costretti a spostarsi nelle riserve, dove, ovviamente, cominciò a dilagare  la temibile acqua di fuoco degli yankees, l'eroina insomma.
Andavo ai giardinetti ed era un vero sballo vedere i vecchi compagni di sempre, seduti al mio fianco sulla panchina rotonda, voltarsi all'improvviso da una parte per vomitare.  Ogni tanto qualcuno di loro collassava e finiva all'ospedale, altre volte in prigione; la polizia li cercava e anche i compagni duri e puri li sprangavano in quanto indecenti. 'O con noi o con i tossici' sembravano voler comunicarci, perché, pur non facendo uso di droghe pesanti, non ci decidevamo a optare per la carriera militare e abbandonare a un triste destino i nostri vecchi compagni.
Continuai a resistere per alcuni mesi, sino a quando picchiarono anche me, poi non ne potei più e me ne andai per sempre.

Settantasette

Forse ne ho già scritto fin troppo, più in poesia che in prosa però.
Nessun comizio postumo, non temete, solo una serie di frammenti, nello stile di TRBIF.
E' stata la prima volta dal '68 in cui ho pensato che ce la potevamo fare davvero, che le cose sarebbero cambiate, non sarebbero mai state più le stesse. Forse per questo ho sempre nutrito una forte avversione per quei quattro disperati che pistola in pugno hanno cercato il cuore dello stato, eravamo facili profeti a dire che avevano lo stato nel cuore. La loro pulsione di morte, in perfetta sintonia con quella uguale e contraria dello stato+Pci ha vanificato gli sforzi di anni di centinaia di migliaia di giovani e meno giovani, di studenti, lavoratori, disoccupati per forza o per scelta che cercavano di costruire qualcosa che rimanesse al di là dei momenti alti dello scontro, che producesse nel quotidiano quei piccoli cambiamenti che poi portano alle trasformazioni più grandi. Non sapevamo bene come, dei partitini ne avevamo avuto abbastanza, ma il movimento nel suo insieme era un crogiuolo dove renudisti e autonomi, radicali e anarchici, ex lottatori alla ricerca del padre perduto e femministe che non ce ne facevano giustamente passare una potevano convivere, confrontarsi, imparare l'uno dalla pratica dell'altro.
Questo è quello che pensavo ai tempi della Busta, ed è quello che ho detto in un'assemblea fatta al Civico, praticamente occupato, dopo l'assassinio di Fausto e Iaio, marzo '78. Mi sembrava l'ultima occasione, nonostante tutto c'era tanta gente, il movimento era ancora in piedi ma non ottenni molto successo, guardando in platea si poteva vedere fisicamente che le strade si stavano separando, nessuno avrebbe condiviso più nulla, soli coi propri simili o soli davvero, come a volte in quei mesi mi è capitato.
Anche sul piano personale le cose erano cambiate. Il settantasette per me era stato anche un anno di amori, cominciati, finiti, incontri improvvisi, menage avventurosi, con forte il senso che bastava guardarsi negli occhi un momento e poteva succedere, e a volte è successo, che cominciasse qualcosa. Una mattina mi suonano al campanello, ero da solo a casa dei miei, via xxvii marzo, se vi ricordate. Vado ad aprire in stato comatoso e probabilmente mezzo nudo, mi trovo davanti una compagna che aveva deciso che le piacevo. Fu così che cominciò una storia di quell'anno irripetibile, con successivi incroci complicatissimi che ci voleva un ingegnere col regolo nel taschino per riuscire, con una certa approssimazione, a determinare chi stava con chi.
Storie ne ebbi anche nel '78, ma mancava quel fuoco che ci bruciava dentro quando andavamo in giro di notte o quando facevamo l'amore al pomeriggio, in onore di Rohmer.
Di settembre magari parlerà qualcuno di voi, adesso non mi va. Ho già ricordato però quel giorno di fine mese in cui al baretto all'angolo di via Fiume una decina di noi si guardava in faccia senza saper che dire e che fare.
L'anno finì in minore, feci, forse per noia, alcune esperienze con droghe non psichedeliche che mi lasciarono tale e quale, solo un po' più annoiato. A capodanno, non ricordo assolutamente se ci fosse qualcuno di voi, ma mi pare ci fosse Pierre Riviere, mi trovai con un sacco di gente a casa di Nicola P., Andrea invece non c'era. A un certo punto della serata, sfogliando delle foto, ne venne fuori una in cui c'ero anch'io, mai vista prima, mai saputo chi l'avesse scattata, alla festa del Giardino Scotto a Pisa , Libertà 4. La foto la conservo ancora, curiosamente era l'unica del settantasette che avessi fino a poco tempo fa, fino a che Foxy mi regalò una foto dello spezzone femminista alla fine del corteo del 9 marzo, quando le compagne "assaltarono" il palco mentre tentava di parlare Sassi.
Nella foto si vede She, di spalle, e come ha scritto il poeta "è tutto quel che ho di te".

mercoledì 1 dicembre 2010

Bologna, oh cara ! Parte I


Bologna oh Cara…. ( parte I )

la prima volta che ho messo piede a Bologna era di domenica, una domenica di fine giugno, nel 1972. Eravamo un gruppo di liceali e avevamo da poco appena terminato il terzo anno, e quindi eravamo partiti con tende e sacchi a pelo, pentolini e fornelli.

Bologna non era di certo la meta prescelta per il campeggio.

Eravamo partiti all'alba con un pullman destinazione l'Appennino reggiano e in particolare la località di Cervarezza, quello ci era sembrato il posto adatto per accamparci. Scoprimmo un posto isolato, un prato circondato da castagni, abbandonato da pochi giorni da un qualche reparto dell'esercito italiano.

Le tracce delle canalette di scolo scavate intorno alle tende per far defluire l'acqua piovana erano ancora lì, il terreno rivoltato di fresco.

Le utilizzammo per le nostre tende. Passammo un paio di giorni a esplorare i dintorni, a festeggiare la sera con cene precotte e liofilizzate, riscaldate però su un vero fuoco, ben delimitato da grossi sassi, anche quello probabilmente lasciatoci in eredità dai militari.

Al terzo giorno ci sembrava di essere lì da alcune settimane.

Prendemmo una decisione : perché non spostarci ? perché non provare qualche nuovo posto?

Così lasciammo parte del nostro bagaglio nel deposito della piccola parrocchia e più leggeri ci sentimmo pronti per una vera avventura, un vero viaggio.

Ovviamente non potevamo banalmente partire di mattina o nelle ore del pomeriggio. Ci sembrò naturale che fosse di sera, anzi di notte, il momento propizio per iniziare il nostro viaggio, la nostra avventura, la nostra ricerca.

Cenammo in trattoria, tagliatelle al ragù e lambrusco e, nel bel mezzo dei brindisi, mentre proferivamo nostri propositi per i giorni a venire, mi venne un'idea.

Avevo letto la notizia proprio quel giorno, su Ciao 2001 e allora proposi di arrivare in qualche modo a Bologna, perché in una data non troppo lontana allo stadio Dallara avrebbero suonato Emerson Lake e Palmer.

La proposta venne subito accettata con entusiasmo da tutti.

Un ultimo brindisi e per lo stupore dei padroni della trattoria, intorno alle undici di sera, una fila indiana composta da sedicenni con zaini sulle spalle, si allontanò dal centro abitato, svanendo dietro l'ultima curva, in cielo la luna era quasi piena.

Così iniziò il nostro vagabondaggio tra paesini e trattorie, tra partite a boccette e incontri con giovani e vecchi, un'insperata avventura, un vagabondaggio da manuale, che terminò una volta raggiunta Reggio Emilia.

Da lì col treno arrivammo a Bologna, proprio il giorno del concerto.

Era la prima volta che vedevo Bologna.

Era una domenica d'estate, poca gente in giro. Girovagammo tra palazzi e portici barocchi, arrivammo fino all'osteria delle Dame ma Guccini e Lolli sicuramente stavano russando altrove.

Poi una breve sosta alla Montagnola dove venne scattata la foto che mi ritrae a cavallo del leone con un coltellino opinel, tipica arma del campeggiatore, mentre cerco di abbattere la feroce fiera.

Lì vicino un furgoncino sfornava pizzette e hot dog, mangiammo qualcosa prima di prendere l'autobus per raggiungere lo stadio. Il gestore del fast food su quattro ruote continuava a infilare, nel suo mangiadischi collegato ad un amplificatore gracchiante, il disco dei Nomadi Io vagabondo.

Credo volesse dedicarcelo, forse non aveva mai avuto tanti clienti in una domenica d'estate.

Il concerto me lo ricordo strepitoso, per un sedicente e sedicenne organista, quale ero, vedere Keith Emerson saltellare tra organi moog e pianoforti emettendo accordi e suoni che sembravano voler far esplodere il cielo, era stata un'esperienza sublime.

Anche il pubblico mi sembrò incredibile, c'era tutta l'area alternativa ed hippy del Movimento, si vendevano i giornali italiani underground da Re Nudo a Fallo ad un altro che aveva la forma di un Joint, li comprammo tutti.

Il rientro alla stazione fu una lunga camminata lungo i viali, con soste ai chioschi e lunghi commenti sul concerto.

Prima volta a Bologna, niente male.